La parola greca eudaimonìa viene abitualmente tradotta con “felicità” ma allude a qualcosa di più. Eudaimonìa è una via filosofica al benessere e alla felicità.
di Federico Levy
È ben noto quanto influente sia stato l’apporto della sapienza antica per il successivo sviluppo della nostra cultura, e come ben sanno studenti e professori di greco antico anche a livello linguistico. Eppure, al di fuori della ristretta cerchia di cultori delle humanae litterae, non è raro incontrare persone che mostrano di non aver neanche sentito parlare della eudaimonìa.
Recuperarne il senso e farlo rivivere nella società contemporanea è qualcosa di più di un mero esercizio di erudizione. Infatti, come vedremo sinteticamente in questo articolo, la prospettiva aperta dall’idea dell’eudaimonìa interessa concretamente il benessere esistenziale delle persone calate nella realtà della società contemporanea.
Magari diverrà anche più chiara la ragione per cui la dott.ssa Francesca Guercio e io, tra tante e affascinanti possibilità alternative, abbiamo scelto proprio questo termine per denominare il nostro studio di pratiche filosofiche. Giacché se cerchiamo concretamente la felicità è sempre saggio tornare a scuola da Aristotele.
Verso la felicità… e oltre!
Letteralmente composta dalla particella greca eu (che significa buono, nel senso di bene) e dàimon (che indica in senso generale la spiritualità), la parola indica «lo stato di piacere stabile in cui si trova l’anima» (Ivan Gobry, Vocabolario greco della filosofia).
La felicità, certamente; ma non nel senso in cui la si intende comunemente oggi, ovvero come uno stato di contentezza variabile. Legato per lo più a percezioni estemporanee di piacere e a ideali generici di libertà dalle preoccupazioni e dai dolori quotidiani.
In termini contemporanei potremmo dire che eudaimonìa indica quello stato – o, ancora meglio – quel “progetto di felicità” che si accorda con la piena fioritura dell’essere umano. Non è, per dirla semplicemente, un evento accidentale bensì il frutto di una ricerca interiore e di un dialogo costante tra noi stessi e il mondo. Un progetto di felicità strettamente legato alla ricerca della saggezza e all’esercizio della virtù.
La fabbrica sociale dell’ignoranza della felicità
Poiché l’una non può mai veramente coesistere senza l’altra.
Non a caso la società contemporanea, che spinge quotidianamente a un divorzio sciagurato tra felicità e conoscenza, si distingue per la sua agghiacciante capacità di produrre uomini sia ignoranti sia infelici. Ignoranti non solo del mondo e di se stessi, ma della felicità stessa. Poiché, nonostante sia più semplice pensarla così, è del tutto illusorio ritenere che la felicità sia, per esempio, conseguibile come un prodotto da acquistare. Ottenibile con la formula magica di un guru, o semplicemente cercando di aderire a modelli di successo preconfezionati. Anche in quei rari casi in cui ci si sente interiormente soddisfatti di sé, magari per un buon lavoro svolto, non dobbiamo dimenticare che tale stato temporaneo. Solamente la superficialità dell’attimo può indurci a ritenerlo eterno: esso non è l’equivalente di una reale e autentica felicità.
Niente male non è ancora bene
Cercare nella mente territori di evasione dal quotidiano, proiettare ogni nostra aspettativa di felicità in un futuro sempre di là da venire, andare in vacanza e adoperarsi in hobbies… Non sono ancora progetti di felicità, semmai semplici diversivi. Per mezzo dei quali renderci meno insopportabile di dovere accettare di vivere per la stragrande maggioranza del tempo una vita che non sentiamo veramente nostra.
Niente di male, si dirà. Può essere. Ma ancora nemmeno niente di bene! Perché nulla arriva magicamente, tantomeno la felicità.
Se privi di una discreta conoscenza di noi stessi e sprovvisti di adeguati anticorpi per resistere ai falsi idoli consumistici del vivere sociale, abbiamo poche chancesdi non cadere vittima di qualche falsa narrazione o illusione.
E la più grande delle illusioni è pensare di poter vivere felicemente senza mettersi seriamente alla ricerca di sé e coltivare abiti di consapevolezza e conoscenza.
L’illusione del percorso difficile
Infatti questa sola illusione predispone a subire potenzialmente tutte le altre, costituendo un intreccio di condizioni e modi di essere inadatti a noi stessi e in seguito difficilmente districabili.
Difficile, si dirà, mettersi alla ricerca della felicità. Tuttavia non possiamo realmente dire della qualità di un sentiero prima di averlo percorso; e una strada difficile appare comunque preferibile a un vicolo cieco. Senza contare che resterebbe da chiedersi fino a che punto le difficoltà provengano da venti e correnti contrari che scambiamo per caratteristiche intrinseche del percorso stesso.
Certamente nessuno è in condizione di misurarne il valore assoluto. Non perché la felicità sia una questione di scienza tremendamente complicata. Bensì perché la felicità – quella che ci interessa esistenzialmente, ovvero la nostra felicità – è intimamente connessa all’esperienza di vita di ciascuno di noi. E perciò interroga inevitabilmente la coscienza soggettiva.
Chi potrebbe veramente parlare al posto della coscienza di un altro?
La nostra felicità è una questione mondiale
E benché la ricerca della felicità sia inevitabilmente questione di coscienza e di soggettività ciò non implica che si tratti meramente di un atto solipsistico.
Non esiste una coscienza soggettiva sradicata dal mondo e concepibile al di fuori del suo mondo. D’altronde nemmeno è conoscibile un mondo se non a partire da particolari sguardi e visioni sul mondo stesso. La coscienza soggettiva non è da intendere come un fatto interiore e astratto che si pone a prescindere dal mondo. Essa è sempre e costitutivamente in relazione con esso: il mondo sociale; quello dei fini ultimi e dei valori; il mondo ultraterreno; ecc.
Il nostro stesso pensare, la nostra stessa coscienza, sono sempre in rapporto con il mondo. Sono, in buona sostanza, costellazioni di mondo che ci abitano interiormente.
La nostra felicità è una questione di mondo della coscienza e di coscienza del mondo.
Da qui si parte per fondare l’azione e comprendere la nostra realizzazione personale.