di Francesca Guercio

Come t’insulto il professore. Ben oltre il diffuso imbarbarimento della società, il bullismo palesa un addentellato con la progressiva perdita di libertà.

Tra le molteplici forme assunte dalla libertà sembra che nessuna possa prescindere dall’ascolto. Proprio ciò che sfugge al bullo.

Prestare attenzione alle sollecitazioni esterne, di qualunque tipo esse siano, è l’unico modo per acquisire informazioni. Da ciò, e dal conseguente, successivo ascolto di sé, deriveranno comprensioni ampie e profonde, scelte, dichiarazioni d’intenti, prese di posizione, assunzioni di responsabilità. Esplicitate a partire da un campo quanto mai ampio e vario di conoscenza e possibilità. Quando prenotiamo una vacanza, scorriamo le programmazioni dei cinema, selezioniamo un partner o acquistiamo un dentifricio è allettante disporre di una dovizia d’alternative. Nondimeno, la libertà non è soltanto una questione di “opzioni a disposizione”.

La logica nel dentifricio

Il beneficio di libertà derivato dall’ascolto richiede un certo grado di sacrificio. Un impegno di tempo, un’accuratezza di valutazione, uno sforzo di analisi delle caratteristiche intrinseche delle cose in sé e dei nostri stessi criteri di giudizio. Un’abilità di orientamento nella complessità e di riordino degli elementi in campo.

Di fronte alla varietà di dentifrici sciorinati sui banchi di un ipermercato possiamo rispondere automaticamente al monologo autoritario degli spot commerciali e stipare nel carrello il tubetto cui il merchandising ha conferito funzioni di comando. Oppure possiamo soffermarci ad ascoltare i discorsi stampigliati sulle confezioni. Possiamo tener conto delle complicate variabili comprese tra l’entità degli effetti promessi e il grado di eticità del produttore, passando attraverso dettagli come le proprietà della composizione e la disponibilità del nostro portafogli.

Libertà: un privilegio che richiede attenzione

Desideri, bisogni, scale di valori, apprezzamento del rapporto tra costo e profitto… il vocio di molti appannaggi umani viene sollevato in un’azione tanto familiare. Fa sorridere, lo so. Ma proviamo ad applicare questo paradigma insignificante all’anatomia delle relazioni e sarà chiara l’ambiguità che connota la concreta pratica di un concetto astratto come la libertà. Privilegio che richiede silenzio, applicazione e sapienza.

E che perciò risulta sicuramente inaccessibile al bulletto pronto a “imbruttire” al prof. di turno, senza intelligenza e per mero gusto di ribellione.

Tra l’autorità e l’autorevolezza c’è di mezzo l’ascolto

Mi sono riferita alle tecniche pubblicitarie ricorrendo alla metafora di un monologo autoritario.

Fino a non molti anni fa negli ambienti scolastici si disquisiva attorno alla parola “autorità”. Cui ne veniva affiancata, e più spesso contrapposta, un’altra: “autorevolezza”.

Gli studenti si ribellavano all’idea di dovere deferenza agli insegnanti in virtù di un’investitura legale che li rendeva ufficiali di un potere sovrano. Si pretendeva – e a ragione! – la libertà di conferire rispetto a un professore solo se questi era in grado di guadagnarselo sul campo, dimostrando di sapere. E, meglio, di sapere insegnare. Autorevole, dunque, era considerato chi al prestigio della carica coniugasse il credito di una stima personale.

Bullismo e società del rumore

A ben vedere oggi, quella pretesa di libertà di ieri poggiava in realtà su un vincolo che era il solo capace di consentirla: la disciplina dell’ascolto!

Quanti hanno pratica di istituti scolastici sanno bene che ormai entrare in classe è come immergersi in una Geenna nella quale le urla dei docenti che provano a far lezione o a pretendere disciplina si distinguono a stento da quelle di torme di ragazzi sopraffatti dal loro stesso fracasso.

Per quanto fastidio se ne possa provarne, bisognerà ammettere che non si tratta di colpe personali bensì di distrazioni indotte. Viviamo nella società del rumore. Non c’è luogo pubblico che non proponga agli avventori un sottofondo di musica, notiziari e programmi di intrattenimento. Comunichiamo ovunque tenendo il volume abbastanza alto da sovrastare qualcuno che, accanto a noi, risponde al telefono. Teniamo nelle orecchie cuffie che ci permettono di udire quel che abbiamo scelto, mentre una base sonora onnipresente ammannisce urbi et orbi la base sonora che qualcun altro ha scelto di far udire a tutti.

In questo inferno, l’unica libertà possibile sembra quella di gridare più forte.

Se il bullo è cascame dell’uomo tragico

Una libertà ossimorica, come si vede. Mutila del fattore della scelta che le sarebbe consustanziale giacché le manca l’ascolto dei tanti discorsi possibili. Una libertà alla quale, pertanto, viene interdetta qualunque autodeterminazione.

Quella del bullo è una condizione tragica perché coatta e inconsapevole. Sottoprodotto di una cultura che ha, a buon conto e con intelligenza, lottato per sostenere il diritto dei giovani di giudicare e contestare un adulto inadeguato al ruolo di educatore.

Invece di pretendere il silenzio utile all’ascolto per stabilire chi ha di fronte, il bullo scambia per emancipazione l’agio di rimanere impunito se si spolmona a sovrastare il timbro dell’insegnante. Si priva così, drammaticamente, della libertà di comprendere, e quindi poi decidere, se quell’insegnante non è solo investito d’autorità ma anche meritevole d’ascolto in quanto portatore di cultura, umanità, sapienza, garbo…

Horror vacui e brivido di libertà

Proprio laddove un certo lassismo educativo ci ha autorizzato a illimitate imprese individuali, si verifica il paradosso per cui l’impossibilità (che ormai è, sovente, incapacità) di ascoltare azzera le alternative e dunque l’autonomia di scelta. I meccanismi di studio della scuola dell’obbligo sono oggi talmente eterodiretti che l’iniziativa del singolo è quasi un ingombro. Ai ragazzi vengono forniti libri con schemi colorati e riassunti fatti da altri, esercizi con frasi in parte già scritte da completare riempiendo i puntini. L’horror vacui che ha assalito generazioni di studenti davanti al foglio bianco di un tema da fare è sempre più scongiurato e, con esso il brivido; quella meravigliosa, autentica, piena forma di libertà che solo esso concede. La spersonalizzazione alienante propria della produzione capitalista ha eroso spazi di creatività a quella specialissima forma di lavoro che è l’attività scolastica.

Tra anarchia e ristagno

Gli appelli all’egualitarismo hanno semplificato, svilito, banalizzato qualunque ambizione formativa dimenticando, o fingendo di dimenticare, che una democrazia ottenuta mirando al ribasso non ha alcun valore. Ciò ha prodotto non soltanto infelicità ma frustrazione. Un’accoppiata che, come indicava Bertrand Russell, non può che scaturire in odio e violenza. In bullismo, dunque.

Bisognerebbe allora ripartire da lì: dal ragionare insieme ai ragazzi per aiutarli a comprendere le cause delle loro sventure. Come fare, se ormai non c’è più ascolto? È davvero troppo tardi per recuperare? E se tentassimo comunque? Magari ripartendo proprio da una riflessione esposta da Russell in Autorità e individuo:

Una società sana e progressiva ha bisogno tanto di un controllo centrale quanto dell’iniziativa degli individui e dei gruppi: senza controllo c’è anarchia e senza iniziativa c’è ristagno.

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