Sposarsi a sessant’anni o ricevere il Nobel a diciassette. Ciascuno è “in tempo” con se stesso. E allora cos’è questa fretta?

di Francesca Guercio

Nicola arriva in seduta con… puntuale ritardo. Senza avvertire né scusarsi. Per qualche settimana decido di non fargliene menzione così da avere agio di conoscere il suo modo di pensare e di abitare l’esistenza. Oltre a raccogliere informazioni sul suo stile di vita e sulle abitudini e necessità nella scansione del tempo privato e lavorativo.

Benché lui continui a non fare alcun cenno alle more con le quali si presenta in studio, la relazione di Nicola con il tempo emerge nella sua problematicità fin da subito. La recente separazione dalla moglie è la tematica che lo ha condotto in consulenza e che pertanto, a ragione, interroga con insistenza. Ciò nondimeno mi è inevitabile notare con quanta frequenza parlando delle sue esperienze di vita affermi di essersi sentito e di sentirsi sempre “fuori tempo”. Sposato troppo presto, laureato troppo tardi, ancora precario al lavoro nonostante abbia passato i quarant’anni. Dice.

Sapere tutto senza sapere nulla

Al quinto incontro lo accolgo chiedendogli con smaccata ironia se per caso non gli sarebbe più comodo posticipare di un quarto d’ora l’appuntamento. Lui sorride, per nulla piccato, e mi spiega che sarebbe inutile perché, conoscendosi, si presenterebbe in ritardo sulla dilazione. Poi cambia discorso senza altri indugi, dal momento che – mi spiega –deve parlarmi di un mucchio di cose su cui ha riflettuto. Accenno al fatto che la questione del tempo rappresenta al mio sguardo un tratto costituzionale della sua visione del mondo. Tanto che apprezzerei se potessimo evitare di liquidarla con frettolosa superficialità.

Nicola ancora una volta sorvola con leggerezza. Mi dice che sarebbe superfluo spendere energie e tempo (sic) sull’argomento. Sa tutto – afferma –delle sue manchevolezze nella gestione del tempo. Perché una psicoterapeuta che lo aveva tenuto in cura per un paio d’anni gliene aveva palesato le cause.

Il tempo come chiave dell’amore

Pare, infatti, che proprio la sua costante disattenzione all’orologio fosse stata motivo dei primi screzi familiari dopo il matrimonio. Per esempio, mi racconta, quando toccava a lui cucinare la cena non era mai pronta prima delle 22. E la sua compagna che, per motivi di salute, doveva seguire un regime alimentare ordinato, lo accusava di non tenere in nessuna considerazione i propri bisogni. Quindi, di non amarla abbastanza.

La terapeuta aveva scandagliato il passato di Nicola con molto acume. Individuando nella mappa con la quale il suo paziente si orientava nel mondo profonde radici psichiche. C’era una connessione evidente tra la sua relazione con il tempo e il modo con il quale la madre lo aveva accudito nei primi anni. Il reperimento e la chiarificazione di questo rapporto di causa-effetto avevano avuto una funzione benefica nel processo di auto-accettazione determinante per l’interiorità di Nicola.

La Consulenza Filosofica come completamento della psicoterapia

La sua personalità ne era risultata rafforzata. Aveva imparato a scrollare dai sensi di colpa un tratto caratteriale che a molti, e in particolare della donna che aveva sposato, appariva un difetto.

Si trattava ora, dunque, di muoversi da questo approdo saldo per conquistare un territorio più ampio.

Accade del resto con una certa frequenza che a distanza di tempo dauna psicoterapia effettuata con successo ci si trovi ad attraversare situazioni ardue. Dalle quali emergono domande che interrogano la nostra esistenza in modi nuovi.

In questi casi l’approccio della Consulenza Filosofica si rivela molto efficace nell’accompagnare a un riesame di sé più maturo. Non orientato dall’obiettivo di guarire da un male, bensì intriso del piacere di godere della luce stessa dei problemi.

Ho chiesto a Nicola di immaginare il Tempo come un interlocutore e di provare a esprimere che tipo di figura gli apparisse.

Vedere le cose sub specie temporis

«Un nemico!», ha risposto senza esitazioni. «Prepotente, invadente… Trasforma la vita in un panopticon. Ci bracca – ci hai mai pensato? Mi fa salire l’ansia».

«Credi che potrebbe essere per questo che sei sempre in ritardo? È il tuo modo di nasconderti al potere invisibile del sorvegliante onnipotente? Di fregarlo?».

«Al lavoro sono sempre puntuale ma nella vita privata non ce la faccio. Non voglio. Sarebbe innaturale. Il tempo è un concetto assoluto, una specie di idea divina, separata dall’umanità. Quando cerchi di infilarlo a forza nelle relazioni individuali distruggi la spontaneità».

«Eppure Spinoza ti direbbe che è inevitabile per l’uomo vedere le cose “sub specie temporis”… Qualunque fenomeno è causato da qualcosa e comporta conseguenze. Il che equivale a dire che è collocato nel tempo. La tua vita prima della separazione da tua moglie e la tua vita dopo la separazione hanno scansioni diverse, rendono necessarie domande diverse».

A che serve il tempo?

«Mettici pure che se non avessi inconsciamente preteso con tanta forza di essere libero dal tempo almeno nella mia relazione affettiva a questo punto magari avrei ancora una moglie!».

Abbiamo riso insieme.

«È possibile» ho riconosciuto: «Guardiamo le circostanze della nostra vita. Una sequenza più o meno ordinata di eventi ci induce a tirare in ballo l’inevitabilità di pensarci in relazione col tempo. Resta il fatto che è il modo in cui noi avvertiamo questa relazione che ne determina la qualità. Come sempre, non sono le cose a causarci turbamento ma le nostre opinioni sulle cose».

Ci siamo accordati sul fatto che Nicola avrebbe riflettuto sull’opinione che aveva espresso con immediata convinzione a proposito del tempo.

La settimana successiva è arrivato in seduta annunciandomi che era più disponibile a riconoscere al tempo un’utilità. Una ricerca in Internet gli aveva fatto scoprire la definizione di John Archibald Wheeler.

Tempo e filosofia di vita

Secondo il fisico statunitense esso sarebbe “il modo in cui la Natura impedisce che le cose accadano tutte insieme”.

«Pensa se contemporaneamente al divorzio fosse arrivato pure il licenziamento…», commenta. Il sarcasmo proprio del linguaggio con il quale Nicola si racconta e descrive il mondo rende davvero piacevoli le conversazioni con lui. Essenziale adesso, però, è la coscienza del fatto che la sua teoria del tempo non è soltanto il prodotto di un sistema educativo. Da dare per acquisita e della quale, eventualmente, farsi beffe. Bensì un elemento fortemente connotante una precisa “filosofia di vita”. Che insiste su ogni sua dichiarazione di essere asincronico rispetto alla quotidianità, causandogli sofferenza. Sia quando trascura l’orologio come compisse una marachella, sia quando lascia trasparire un senso di sconfitta per aver mancato le scadenze comuni nelle tappe esistenziali. Finalmente è pronto per un’elaborazione personale che possa trarlo fuori dal guado.

Ciascuno è “in tempo” relativamente a se stesso

Stiamo riflettendo insieme sull’evidente, e probabilmente inevitabile, scarto tra il tempo personale e quello sociale.

Nessuno può, infatti, ragionevolmente, dirsi in ritardo sul proprio sviluppo. Qualcuno è pronto per il matrimonio a sessant’anni, qualcun altro per ricevere il Nobel per la Pace a diciassette. Qualcuno impara a leggere a tre anni, qualcun altro si diploma dopo la pensione. Alcuni diventano ultracentenari, altri muoiono bambini; e nessuno può permettersi di misurare la completezza delle loro esistenze. Per non parlare delle attitudini interiori! Ci sono quelli che manifestano naturalmente doti di empatia e quelli che imparano a esprimere le emozioni solo in seguito a molte prove, per esempio. Ciascuno è “in tempo” relativamente a se stesso, alla propria indole e costituzione, alle necessità evolutive della propria carne e del proprio spirito.

Frequentare l’università o cacciare leoni

La frustrazione di Nicola deriva dalla normatività cronologica del sistema. La quale pretende di (e sfortunatamente riesce a!) scandire i traguardi individuali senza alcuna considerazione dell’individualità. Prova ne sia che i parametri variano in base alle epoche storiche e alla geografia. Nicola si descrive come un eroe per aver contratto un matrimonio a ventidue anni. Ma ride quando gli faccio notare che se fosse stato un Masai avrebbe dovuto sposarsi a sedici. Per di più dopo aver superato la prova di avventurarsi nella savana per tornarne soltanto dopo avere ucciso un leone. Riconosce che la percezione dell’eroismo nasce in lui dal confronto con gli amici che alla stessa età ancora studiavano mantenuti dai genitori. E, ciò che più conta per la sua serenità, ammette che riguardando a quella fase della propria vita la scelta della vita di coppia era in accordo con il suo grado di evoluzione di allora.

«Se non mi fossi sposato, non avrei divorziato»

Le considerazioni attuali sui limiti e gli errori connessi a quell’esperienza gli sono possibili unicamente in virtù delle consapevolezze attuali. Il celebre drammaturgo dell’assurdo Ionesco fa dire a uno dei suoi personaggi: «Non si dovrebbe divorziare. Se non mi fossi sposato, non avrei divorziato». E forse è tutto. Il tempo misura la distanza che separa gli eventi e, anche, li identifica. Il razionalista Spinoza che avevo già citato, scherzosamente, a Nicola per la sua idea del tempo umano avverte circa l’impossibilità di sottrarsi all’ignoranza. L’uomo, ricorda il filosofo olandese nel Breve trattato su Dio, l’uomo e il suo bene«confonde l’immaginazione come un autentico sapere, sconvolgendo l’acquisizione della conoscenza». Ciò a causa di una «“parzialità” della mente». Tale parzialità è peculiare e ineluttabile, dunque, delle nostre visioni del mondo. Tenerne conto quando valutiamo noi e le cose è il primo passo verso quella “sospensione del giudizio” che già un poco ne allarga i confini.

 

×