Qualunque accidente lascia emergere valori e significati che ci costituiscono e determinano il nostro rapporto con il reale. Metti, a Natale, un invito…

di Francesca Guercio – articolo pubblicato la prima volta sul sito www.benessereitalia360.it l’8.1.2019

Subito dopo Natale, Alessandra mi ha chiesto di anticipare l’appuntamento fissato per la fine del periodo festivo. Al telefono è stata lapidaria: «Devo ragionare subito di questa cosa, altrimenti il sentimentalismo continua a farmi altalenare tra una posizione e l’altra e al porto dell’Epifania non ci approdo intera».

Era furiosa con il suo compagno, che l’aveva coinvolta all’ultimo momento in un pranzo di Natale con la propria famiglia. Gli accordi tra loro erano stati che avrebbero passato la sera della Vigilia ognuno con i propri parenti e la festa del 25 da soli. Poi lui aveva ricevuto una specie di «ingiunzione di appartenenza al clan», come l’ha definita lei. In breve, una sorella – di vent’anni più grande e perciò, a detta di Alessandra, dotata di particolare ascendente – aveva frignato al telefono sul rammarico per la loro assenza. Per la famiglia d’origine, allargatissima e disgregata.

L’obbligo morale dell’assenso?

Alle lacrime, aveva aggiunto l’elenco di malanni che affliggevano il padre anziano: una composizione di sensi di colpa che sarebbe avanzata anche per le generazioni future. Il colpo magistrale però era stato l’appello al desiderio di rivedere Alessandra che «è tanto carina e non ce la porti mai». Il fratello giovane aveva ceduto. Alla compagna “tanto carina” aveva chiesto, con gli occhi mesti e il cuore in bocca, di cambiare programmi. Ad Alessandra era apparso con chiarezza che il suo compito era dire di sì a qualunque condizione. L’eroina di un romanzo dell’Ottocento che sacrifica alle esigenze del proprio uomo bisogni e desideri e s’avventura verso la Siberia vestita solo di una sottoveste le era parso un ideale nobilissimo. Avrebbe accantonato i propri valori e sarebbe restata accanto a lui e… alla quarta moglie del padre, insoffribile per chiunque ma integrata in nome del mantra “povero papà, che c’entra lui?”.

Giudizi e pregiudizi

«Come se ’sta moglie non se la fosse scelta da solo!», chiude Alessandra, riassumendo in un commento acido quel che già so del giudizio severo sulla genìa del suo compagno. Tenuta insieme da narrazioni mistificanti e senso di responsabilità spacciati per affetto. Opinione che condivide con il partner e sul quale stiamo lavorando da qualche tempo per la loro “visione del mondo” di coppia. Opinione strettamente connessa a un progetto di vita. Che, con la sua peculiare e innegabile Verità, contrastava senza alcuna possibilità dialettica quello di cameratismo incondizionato che l’aveva spinta ad accogliere la sollecitazione di lui. Un progetto dotato altresì d’una sua Verità innegabile e peculiare. Alla quale, tuttavia, al telefono, aveva dato il nome sprezzante di “sentimentalismo” esprimendo un giudizio se non addirittura un pregiudizio.

La mia ospite è stata subito concorde nel riconoscere che si poteva cominciare dall’indagare le ragioni di queste due Verità.

… Ma a Natale siamo tutti più buoni

Per smascherare le eventuali fallacie logiche che la facevano altalenare tra la dedizione al partner, vittima di ricatti morali familiari, e la fermezza senza compromessi propria dell’etica sviluppata dalla coppia. Che pareva, ora, essere scalzata dai luoghi comuni sulla “bontà” di Natale.

In qualche modo, Alessandra si sentiva tradita dalla cedevolezza di lui a quella che entrambi valutavano come una superficialità tutta natalizia. Conseguente alle tante fole sull’allegria scapigliata del parentado allargato di cui alcuni adulti manipolatori avevano proditoriamente nutrito la sua infanzia e la sua adolescenza. Inoltre, asseriva, questo episodio l’aveva costretta a prestare attenzione agli aspetti deteriori delle cure mondane proprio in un periodo dell’anno che a suo avviso doveva essere improntato alla coltura della spiritualità. Ancora un’altra Verità stava emergendo, dunque.

Educazione alla Verità

«In questo periodo dell’anno – s’è infervorata la mia ospite – una parte d’umanità s’affanna ad arrangiare scenette di calore casalingo permettendo così che esplodano rancori e disprezzo. L’altra parte, come forma estrema di difesa, si fa vanto di esercitare il sarcasmo su tutto e tutti. In entrambi i casi si violenta l’essenza di una solennità rituale che, al netto della mistica non ha alcun senso festeggiare. È un paradosso!». Poi s’è messa a ridere della sua stessa foga e ha aggiunto: «Dovrebbe essere vietato per legge. Invece di dibattere sull’opportunità o meno di allestire i presepi nelle aule, i programmi scolastici dovrebbero approfittare delle festività natalizie per educarci fin da bambini a all’esercizio della Verità. A liberarci dei “si dice” e dei “si fa”».

Ho riso anch’io. Ho risposto: «Il conte Yorck sarebbe d’accordo con te».

«Il conte Yorck? È qualche erede al trono d’Inghilterra?», ha domandato Alessandra.

Dalla Vita alla Filosofia

«No, è un filosofo tedesco della seconda metà dell’Ottocento. Martin Heidegger lo considera un interlocutore privilegiato».

Ho lasciato la mia ospite con un frammento filosofico su cui riflettere fino alla prossima seduta. La sua idea del Natale e il suo modo di viverne le contraddizioni sono qualcosa che va ben al di là dell’uggia inevitabile con la quale fare i conti una volta all’anno. Come sempre, la Consulenza Filosofica rivela la sua capacità di partire da un accidente qualunque per lasciare emergere il sistema di valori, scopi e significati delle persone e accompagnarle verso un percorso di chiarezza e benessere.

Quanto a me, ho approfittato della sollecitazione di Alessandra per meditare su quello stesso frammento che ho proposto a lei. E che condivido, ora, con i lettori di questa rubrichetta certa che ve ne saranno alcuni che, come noi, nei giorni scorsi si saranno interrogati sulla propria, intima Verità del Natale.

La paradossalità è un contrassegno della verità

È un passo di Essere e Tempoin cui Heidegger riferisce le teorie del conte Yorck.

Buon anno a tutti!

La paradossalità è un contrassegno della verità e […] la communis opinio non è mai nella verità perché è il sedimento elementare di una semicomprensione generalizzante che ha con la verità lo stesso rapporto che il vapore di zolfo ha col fulmine che lo ha lasciato dietro di sé. La verità non è mai elemento. Lo Stato dovrebbe assumersi il compito pedagogico di dissolvere le opinioni elementari e pubbliche, e di favorire, mediante l’educazione, la massima individualizzazione possibile del vedere e dell’osservare. Si avrebbero allora, al posto della cosiddetta pubblica opinione (cioè dell’esteriorizzazione radicale), di nuovo coscienze individuali; cioè: la coscienze si farebbero forti e operanti.

 

 

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